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Incontro al lago
Incontro al
lago Una di quelle belle domeniche soleggiate di inizio inverno. Il vento della notte aveva spazzato le nuvole residue e, soprattutto, quella cappa grigiastra che copre spesso Milano. La temperatura era rigida ma il sole alto nel cielo invitava ad uscire. Inserii il codice dell'allarme, richiusi la porta di casa mentre il suono del cicalino emetteva quel consueto stridulo di conferma, e chiamai l'ascensore. Qualche minuto dopo ero già in tangenziale, "on the road again" per parafrasare Kerouak, senza alcuna meta prestabilita. Mi aspettavo un segnale, un indizio, un'indicazione dal caso, di quale sarebbe stata la mia meta. La melodiosa, e a volte sdolcinata, voce di Fabio Concato iniziò a fuoriuscire dall'altoparlante della mia autoradio: "Una domenica bestiale" era il brano. Quindi, non c'era alcun dubbio: direzione Stresa, Lago Maggiore. Attivai il lettore di CD. L'indicazione era arrivata e quel giorno non sopportavo proprio Concato. Meglio Ligabue. A manetta. "Credo che ci voglia un dio ed anche un bar, credo che stanotte ti verrò a trovare per dirci tutto quello che dobbiamo dire o almeno credo…" Ligabue - Miss Mondo Con quella solita imprudenza che mi contraddistingue quando sono alla guida della mia auto mi lanciai a velocità ai limiti dell'imbecillità lungo quell'autostrada. Superavo macchine su macchine e non riuscivo a distinguere quelle macchie verdastre che intravedevo con la coda dell'occhio. Erano senza dubbio alberi ma di che tipo alberi non lo sapevo e non mi interessava neanche. Ero perso nei miei pensieri: il lavoro arretrato che non riuscivo a smaltire e quel velato, ma neanche tanto, senso di colpa per essere in auto anziché, come spesso accadeva, al lavoro; i miei progetti di scrivere un racconto; il mio essere solo senza compagna in quel periodo; i progetti di quel viaggio in auto in Scozia mai realizzato. Un rapido sguardo allo specchietto retrovisore e, sinceratomi che non c'erano macchine dietro di me, pigiai con forza il piede sul freno. L'auto sussultò di colpo con il muso che puntava a terra e iniziò a ondeggiare leggermente: stavo superando inavvertitamente, perso nei miei pensieri, l'uscita di Carpugnino, quella stessa uscita che altre volte avevo imboccato per andare a sciare sul Mottarone a inizio stagione. Mi dava una bella strana sensazione padroneggiare la mia autovettura in qualsiasi condizione. Non sono mai stato un patito di auto e motori. Anzi, non me ne è mai fregato un cazzo delle auto. Non sono tipo da incazzarsi anche se trovo uno sportello rigato da qualche deficiente. Ma la padronanza del mezzo in ogni condizione, mi gratifica e mi fa sentire bene: è l'applicazione del paradigma della mia vita anche agli essere inanimati: CONTROLLO. Controllo sulle cose. Controllo sulle persone. Controllo sulle situazioni. Odio non essere padrone delle situazioni. Più che odio a volte è terrore allo stato puro. Ma la mia Golf aveva risposto, tutto sommato bene, e si era lasciata guidare senza troppe bizze verso quell'uscita adesso ingombra dall'auto di un signore con cappello in testa che guidava a 20 all'ora sulla rampa dello svincolo. Mio padre più volte, da ragazzino, mi diceva di stare attento a quelli che guidano con il cappello in testa: sono imprevedibili, lenti, distratti, bizzarri e pericolosi. E, soprattutto, non capitano mai per caso davanti alla tua auto! Mi piazzai al suo culo, a 30 centimetri dal paraurti di quella vecchia Fiat Tipo forse una volta grigia metallizzata ed ora a chiazze grigiastre indefinibili altrimenti. Penso che il signore non mi notò assolutamente anche se i miei fari lampeggiavano in continuazione con una frenesia quasi paranoica. Avrei voluto avere dei laser al posto dei fari e polverizzare quell'auto che mi precedeva in mezzo alla carreggiata senza lasciarmi alcun opportunità di sorpasso. Non lo sopportavo. E il resto della strada che mi attendeva, sia che avessi deciso di scendere verso il lago che salire verso la montagna, non mi dava molte chance di sorpasso: decisi, quindi, che sarei andato in senso opposto al suo. Se fosse salito verso il Mottarone sarei andato al lago e viceversa. Arrivammo allo stop. Lui candidamente stava discutendo con l'anziana signora al suo fianco che immaginai potesse essere la moglie. Discuteva girandosi verso di lei al punto che non vide lo stop, non vide l'auto che sopraggiungeva e, penso che, non senti neanche il clacson e le imprecazioni di colui che stava per spiaccicarsi contro lo spartitraffico nel tentativo di evitarlo. Come si dice dalle mia parti la cosa non lo sfiorò mancu pu cazzu. Girò a sinistra verso la montagna e così io andai a destra verso il lago. Com'era diverso il clima a pochi chilometri da milano. E la mia discesa verso Stresa proseguiva lentamente. I miei occhi si facevano rapire dal paesaggio, dalle persone, dalle case. Mi colpiva sempre quella strana convivenza di case comode e moderne affiancate ad altre in pietra. Da quelle piene zeppe di elettrodomestici che si intravedevano dalle finestre e dalle altre scarne e quasi spoglie all'interno. Da quei giardini rigogliosi di ortensie e palme. Percorrevo, con i finestrini abbassati, quelle strade strette che discendevano ora dolcemente, ora in ripidi declivi, costeggiate dalle villette dei milanesi e dalle case in pietra. Qualcuna aveva le finestre aperte e si sentivano le voci dei bambini che giocavano; da qualcun'altra uscivano fumi biancastri di vapore dai camini: immaginavo enormi paioli pieni di polenta e casseruole piene di brasati al barolo e bacche di ginepro, ingredienti genuini sapientemente agitati da mani esperte in quei consueti e regolari movimenti. La mia naturale perversione, o il mio spiccato erotismo, fece coppia con quell'immagine. Mani esperte… consueti movimenti… elementi naturali sapientemente agitati…… La polenta, impalpabile farina inconsistente, prodotta dalla macina del mais, che sguscia via dalle mani come biondi angelici capelli, che mescolata all'acqua si raggruma prendendo consistenza come piccoli noduli di cellulite sulle gambe di donna, e via via, con movimenti lenti e regolari, si amalgama con l'altro elemento dando vita a quel composto odoroso, delizioso e gustoso come gli umori di quei corpi uniti nell'amplesso di una coppia affiatata…. Pensavo a queste cose e mi resi conto di aver rallentato la mia marcia quasi da essere fermo ai bordi della strada in prossimità di un passaggio pedonale. Mi fermai del tutto e accesi una sigaretta. L'azzurra nuvola di fumo salii verso il tetto dell'auto disegnando inconsistenti e fugaci e mutevoli figure. Parte di quel fumo mi entrò nell'occhio destro. Istintivamente chiusi gli occhi e iniziai a strofinarmeli con le nocche delle dita. Quando li riaprii, con qualche goccia di salmastra lacrima che discendeva lungo le guance, mi apparve una fantastica visione. Dai finestrini dell'auto vedevo una finestra del retro di una casa. Era sicuramente la finestra del bagno di quell'appartamento. E dietro quella finestra con la tenda leggermente aperta, intravedevo il corpo di una giovane donna bionda che stava spogliandosi lentamente.
Le sue mani spostarono delicatamente dapprima la spallina destra del body nero e successivamente quella sinistra. Poi, con movimento deciso lo sfilarono verso il basso. I seni, ad occhio e croce, di una quarta misura, ondeggiarono e sussultarono dal basso verso l'alto fino a trovare la propria naturale collocazione nel corpo ben proporzionato. La ragazza si chinò, presumibilmente per raccogliere da terra l'indumento e sparì dalla mia vista lasciandomi intravedere quell'immagine che ancora adesso ho impressa nelle mie retine: il profilo di una giovane bionda donna che, con movimenti aggraziati, portava a spasso quello statuario corpo che avrei voluto odorare, toccare, accarezzare, massaggiare… Rimasi ancora un po’ con gli occhi fissi in quella direzione anche quando squillò il cellulare. Mi chiamavano dall'ufficio. Uno dei server si era impiantato e non voleva più riavviarsi. Era un guaio visto che bisognava fare le contabilizzazioni di fine anno. Chiesi che tipo di operazioni fossero state fatte per riavviarlo e la conversazione andò avanti per oltre mezz'ora. Stavo tentando di tutto pur di non rientrare a milano e risolvere il problema telefonicamente con il mio collaboratore. Ma alla fine dovetti desistere e decisi di abbandonare l'idea della gita al lago. Tra un'imprecazione e un'incazzatura stavo rimettendo in moto l'auto quando su quelle strisce pedonali vidi quella stessa donna che poco prima era dietro la finestra. Si muoveva con passo deciso nell'attraversare la strada. Passò davanti alla mia auto e mi volli convincere che lo sguardo rivolto verso di me fosse uno sguardo complice di chi sapeva che poco prima l'avevo guardata nella sua dolce e sensuale nudità. Mi volli convincere. Ma forse non era così. Rimasi ancora fermo in auto con gli occhi incollati ora sul quel culo sodo ora sul resto di quel corpo che camminava davanti a me fin tanto che non sparì dietro una curva. E pensai a mio padre e quel suo detto sui signori in auto con il cappello. Ringraziai idealmente quell'uomo per avermi dato l'inconsapevole fortuita opportunità di incontrare quella donna. |
Meeting on the lake One of those beautiful sunny Sundays at the beginning of winter. The wind of the night had swept the residual clouds and, above all, that greyish cloak that often covers Milan. The temperature was rigid but the sun, high in the sky invited to go out. I inserted the code of the alarm, I closed again the door of my house while the sound of the buzzer sent forth that usual shrill sound of confirmation, and I called the elevator. A few minutes later I was already in tangential, "on the road again" to paraphrase Kerouak, without any pre-arranged destination. I was waiting for a signal, a sign, a fortuitous indication, of what could be my destination. The melodious at times mawkish voice of Fabio Concato, began to come out from the loudspeaker of my radio: "Domenica Bestiale": that was the song. And listening to those words every doubt disappeared: direction Stresa, Maggiore Lake. I switched on the CD player. The indication had arrived and that day I couldn’t bear Concato at all. Better Ligabue. At full volume. "I believe that we need a god and a coffee too, I believe that tonight I will come and see you for telling all that we have to say or at least I think so… " Ligabue - MISS MONDO With that usual rashness that characterizes me when I drive my auto, I launched the car to a speed that was at the limits of the imbecility along that highway. I overcame cars and cars and I didn't succeed in distinguishing those greenish stains that I was making out with the tail of the eye. They were with no doubt trees but I didn't know what kind of trees they were and it didn't even interest me. I was lost in my thoughts: the backlog I didn't succeed in getting through and that veiled, but not even so much, sense of guilt to be in my car rather than, as it often happened, at work; my projects to write a story; my being alone without a woman in that period; the projects of that trip by car in Scotland never realized. A rapid look to the rear-view mirror and, sure that there were no cars behind, I pressed the foot on the brake with strength. The auto gave a start with the front towards the road and it began to slightly ripple: I was accidentally overcoming, lost in my thoughts as I was, the exit of Carpugnino, that same exit that other times I had taken for going on the Mottarone to ski at the beginning of the season. It gave me a beautiful strange feeling to master my car in any condition. I have never been crazy for cars and motors. Rather, I don’t care a damn of them. I am not the kind of man who gets mad if I find a counter scratched by some idiot. But the mastery of the mean in every condition, gratifies me and makes me feel good: it is the application of the paradigm of my life to inanimate objects too: CONTROL. Control on things. Control on people. Control on situations. I hate not to be master of the situations. More than hate at times it is plain real terror. But all considered my Golf had responded well and I could drive it without too many tantrums toward that exit now encumbered by the auto of a gentleman with hat on his head that was driving at 20 km/h on the ramp of the junction. Many times my father, when I was a little boy, had told me to be careful to those who drive with the hat on their head: they are unpredictable, slow, distracted, eccentric and dangerous. And above all, they never arrive by chance never in front of your auto! I stayed at no more than 30 centimetres from the bumper of that old Fiat Tipo perhaps metallised grey years before and now with indefinable greyish spots. I think that the gentleman didn't absolutely notice me even if my headlights were flashing continuously with an almost paranoiac frenzy. I would have liked to have some lasers instead of the lights to pulverize that car that preceded in the middle of the roadway without leaving me any opportunities of overcoming. I didn't bear it. And the rest of the road that was waiting for me, both if I had decided to go down towards the lake or to climb towards the mountain, didn't give me a lot of chances of passing: therefore I decided to go in the opposite direction. If had climbed towards the Mottarone I would have gone to the lake and vice versa. We reached the stop. He was discussing candidly with the elderly lady to his side, who I imagined could be his wife. He discussed turning himself completely towards her to the point that he even didn't see the stop, and neither the car that was arriving and, I think, he didn't even hear the horn and the curses of driver that was about to crush against the divider in the attempt to avoid him. As we say in my part of the country it didn't graze him “mancu pu cazzu”. He turned to the left towards the mountain and so I went to the right towards the lake. How different the climate only a few kilometres from Milano. And my descent towards Stresa continued slowly. My eyes were abducted by the landscape, by the people, by the houses. That strange cohabitation of comfortable and modern houses side by side to others in stone always struck me. From those full of appliances that could be glimpsed through the windows to the others thin and almost bare to the inside. By those luxuriant gardens of hydrangeas and palms. I crossed, with the car windows lowered, those narrow roads that came down now softly, now in steep slopes, bordered by the small villas of the Milanese and by the houses in stone. Some windows were open and you could heart the voices of children playing; from some other houses whitish smokes of vapour were coming out of the chimneys: I imagined enormous copper pots full of polenta and casseroles full of meat stew cooked in barolo wine and berries of juniper, genuine ingredients wisely shaken by experienced hands in that usual and regular movements. My natural perversion or my strong eroticism, paired with that image. experienced Hands… usual movements… natural elements wisely shaken…… The polenta, impalpable inconsistent flour, produced by the milling of the corn, that slips away from the hands like blond angelic hair, that, mixed to the water clots taking consistence like small nodules of cellulitis on the legs of women, and little by little, with slow and regular movements, it amalgamates with the other element giving life to that fragrant, delicious and mixture,savoury like the humors of two joint bodies in the sexual embrace of a harmonious couple…. I was thinking about these things and I realize I had slowed down my march to almost stop to the edge of the road near a pedestrian crossing. I stopped completely and lit up a cigarette. The blue cloud of smoke climbed towards the roof of the car drawing inconsistent and fleeting and mutable shapes. Part of that smoke entered in my right eye. Instinctively I closed the eyes and I began to rub them with the knuckles of the fingers. When I reopened them, with some drops of salty tear down along the cheeks, a fantastic vision appeared to me. From the car I saw a window at the back of a house. It was surely the window of the bath of that flat. And behind that window with the curtain slightly open I caught a glimpse of the body of a young blonde woman that was slowly stripping taking off her clothes.
At first her hands gently moved the right shoulder strap of her black body, then the left. Then, with a definite movement they unthread it downward. The breasts, to eye and cross, of a fourth measure, rippled and started upward from the lower part up to find their own natural position in that well proportionate body. The girl bent, presumably to pick up the garment from the floor and disappeared from my sight leaving that glimpse that have engraved in my retinas: the profile of a young blonde woman that, with graceful movements, took around that statuary body that I would have liked to smell, to touch, to caress, to massage… I remained still a little more time, with eyes fixed in that direction when the portable telephone rang. They were calling from my office. One of the servers had blocked and it didn't want to restart anymore. It was a trouble considering that it was time of annual final accounting. I asked what type of operations they had been done for restarting it and the conversation i went on for over half an hour. I was also trying everything not to go back to Milano and resolve the problem with my colleague on the phone. But at the end I had to desist and I decided to give up the idea of the trip to the lake. I was starting the engine between a curse and an burst of anger when on those pedestrian crossing I saw that same woman that a little before I had seen behind the window. She moved with resolute footstep to cross the road. She passed in front of my car and I wanted to convince myself that the look she gave me was the conspiratorial look of someone who knew that a little before I had watched her in her sweet and sensual nudity. I wanted to convince myself. But perhaps it was not this way. I remained in the car with the eyes now glued on that firm bottom now on the rest of that body that was walking in front of me until she didn't disappear behind a curve. And I thought of my father and his saying about gentlemen driving with their hat on. I ideally thanked that man for having given me the unaware accidental opportunity to meet that woman. |
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